Piccola autobiografia ragionata

Ragioniere! Sognavo di diventare ragioniere. Per poter scrivere Rag. davanti al mio nome sulla targa d’ottone da apporre sulla porta di casa, sui biglietti da visita, sulla carta intestata e poi per sentirmi chiamare “Ragioniere” dal portiere, che diceva infatti “Buongiorno ragioniere” a quello del terzo piano, “Sempre in gamba, ragioniere” a quello dell’altra scala e invece a mio padre che non era ragioniere e si chiamava Pio, diceva solo “ Ah sor Pì, com’ annamo ?”. Cercavo, volevo, pretendevo il riscatto familiare ed essere riconosciuto come il Ragionier Buglioni.

Non andò proprio così, perché nel frattempo il mondo cambiò: arrivarono i Beatles, l’uomo mise piede sulla Luna, i preti cominciarono a parlare in italiano e a vestirsi come ragionieri. Tanto che ci fu la possibilità che qualche ragioniere potesse essere chiamato “Reverendo” o “Padre”. Il mondo cambiò, dicevo, e del Rag. sulla targa di casa non gliene fregò più niente a nessuno, né ai ragionieri né ai portieri né tantomeno ai preti.

Ma intanto ero diventato un supercontabile capace di scrivere e leggere bilanci di qualsiasi tipo. E allora mi presero in una grande banca che ora non esiste più e che si chiamava Credito Italiano dove nessuno mi chiamava ragioniere e l’usciere la mattina quando entravo mi diceva: “A Bujò, com’annamo?”. Destini famigliari.

Fidi, fidejussioni, conti correnti, libretti al portatore e nominativi, assegni circolari, anticipi su cambiali, operazioni con l’estero, mercato azionario, operazioni a premio, cassette di sicurezza, mutui ipotecari: tutto sulle mie spalle. Il Credito Italiano si affidò a me e quella fiducia venne ripagata da un salto della banca nel ranking mondiale. Da piccolo istituto di credito asserragliato sul territorio nazionale, a grande gruppo di caratura internazionale con filiali a New York, Londra, Tokio, Mosca, Pechino! Sembrava fatta! Di lì a poco si sarebbero accorti che tutto questo successo era dovuto al mio apporto e anche con me l’usciere avrebbe dovuto usare il “Buongiorno Ragioniere! “ previsto dal regolamento e io avrei potuto rispondere con un “Salve” al posto del “buongiorno” d’ordinanza. Ma il destino tramava la sua tela.

Un giorno d’autunno, durante la pausa per il pranzo, mentre camminavo su Via del Corso, davanti alla Rinascente, che non c’è più e anche questo è uno dei sintomi del cambiamento del mondo, un giorno d’autunno dicevo mi accorsi che una zingara, una bella donna inanellata e inorecchinata e incollanata, mi fissava con insistenza. Mi preparai ad affrontare la solita battaglia per le 100 lire, perché allora c’erano le lire, quando arrivato davanti a lei questa donna anziché promettermi fortuna in cambio dell’obolo mi chiese: “Tu te chiame Oscar ?” “Io ?” “Se! Tu te chiame Oscar ?” “No! Non mi chiamo Oscar”! La mia risposta fu quasi sgarbata, non riuscivo a capire dove volesse arrivare e comunque non mi interessava. “Eppura c’è un oscar nella vita toia!” e scomparve tra la folla della pausa pranzo di un giorno d’autunno davanti alla Rinascente, che non c’è più e anche questo è un segno che il mondo è cambiato. E non volle neanche le 100 lire.

Entrai nel solito bar per mangiare il solito tramezzino tonno e pomodoro e bere il solito chinotto. Viaggiavo con gli occhi lungo le pareti del bar, che conoscevo benissimo perché ci andavo tutti i giorni da mille giorni, ma quella volta notai una foto di Marlon Brando che chissà come e quando era entrato anche lui in quel bar. “Magari pure Marlon ha preso un tramezzino tonno e pomodoro e un chinotto” pensai. All’improvviso tutto mi fu chiaro. TUTTO. Corsi fuori del bar lasciando mezzo chinotto e il conto in sospeso, mi precipitai in ufficio, salii al quarto piano dove c’era l’ufficio del personale e annunciai urbi et orbi che da quel momento lasciavo la banca per recarmi a OLLIVUD a prendere l’Oscar che il destino mi aveva destinato. Cos’altro puo’ fare il destino, se non destinare appunto?

Arrivato a Los Angeles e abituato alla burocrazia italiota cercai l’ufficio “preposto” ma non lo trovai perché non esiste. Allora feci domanda scritta inviandola con Raccomandata A.R. al locale Ufficio Divi che sta nella strada dove le star del cinema lasciano le proprie impronte sul marciapiedi.

Nella Raccomandata raccontai la storia della zingara, della predizione dell’Oscar e del mezzo chinotto lasciato sotto la foto di Marlon Brando chiedendo infine che mi fosse assegnato il posto di divo che il destino aveva riservato per me. Dopo qualche giorno mi risposero garbatamente dicendo che i posti da divo erano stati tutti occupati ma che se avessi voluto si poteva ricorrere a un escamotage. Loro ci mettevano le facce e io la voce. “Che vuol dire ?” chiesi. “Quello che abbiamo detto. Lei recita con la sua voce e noi ci mettiamo le facce da divo che al momento abbiamo a disposizione. Col tempo poi si vedrà. Come si dice, da cosa nasce cosa…”. Chiesi tempo per pensaci. Chiamai Roma e venni a sapere che il Credito Italiano dopo un periodo di vedovanza e di lutto stretto si era rifatto una vita trovando nuovi stimoli in un ragioniere di Busto Arsizio che non sarebbe mai passato a Via del Corso, davanti alla Rinascente e quindi non avrebbe mai incontrato la zingara. Seppi anche che non gli piaceva il chinotto. Non mi restava che accettare l’offerta fattami dagli americani. Avrei vinto l’Oscar! Con la faccia di un altro, ma l’avrei vinto!

Tornai a Roma. Ero pronto a cominciare! Scalpitavo in attesa della prima convocazione scommettendo tra me e me su quale sarebbe stata la prima faccia che mi avrebbero prestato. Marlon Brando, che mi aveva illuminato e aveva segnato l’inizio di quella avventura? Paul Newman? RodSteiger? Silvester Stallone? Robert Redford? Con quale faccia avrei esordito? Chissà!? La telefonata arrivo’ mentre mi esercitavo nella recitazione dei classici: l’Adelchi; perché un attore, si sa, deve saper recitare i classici con la stessa leggerezza con cui dice l’Ave Maria, specie se deve farlo con la faccia di un altro a cui deve far fare bella figura. E deve anche saper dire dopo come va detto e non dòpo come dice il basso volgo. Ma deve dire pòco e non poco, e sono e non sòno, e Elisabètta, e parabrezza con la zeta di Zara, ma zucchero non con la zeta di Zara ma con quella di Anzio. Insomma stavo declamando “Sparse le trecce morbide, sull’affannoso petto” quando al pè di petto il telefono fece drin, con la i di Imola.

“Allora, con quale faccia comincio ?” chiesi trepidante. “Con questa !” mi risposero. GARGAMELLA! Un cartone! Il mago cattivo dei Puffi! “Ma come…”obiettai timidamente “e l’Adelchi ? E l’Oscar?”. Mi spiegarono che c’era da fare una certa gavetta, da costruire un curriculum, e che il cartone animato era il terreno migliore per cominciare. Passai giorni e giorni ad esercitarmi nel “Ahhh!!! Vi odio, maledetti puffi!”, e odio andava detto con la ò e non con la o di dopo. Le fatiche però furono compensate! In breve tempo, in attesa dell’Oscar, divenni LA VOCE ITALIANA DI GARGAMELLA.

Da allora sono passati tanti anni e ho recitato con le facce che tanti divi sono stati così gentili da prestarmi: Nick Nolte, Alec Baldwin, Samuel L. Jackson, Patrick Bergin, Bruno Cremer, che era svizzero ma divo anche lui, Jean Reno,francese, fino a quella di RainerWernerFassbinder, tedesco, quando recitò in “Attenzione alla puttana santa”. E anche l’Oscar è arrivato, con la faccia di ForestWhitakernel film “L’ultimo Re di Scozia”. La zingara aveva avuto ragione!

Aveva avuto ragione? La domanda mi sorse riflettendo sul fatto che la zingara mi aveva fatto la predizione guardando la mia faccia e prima di sentire la mia voce. Andai a cercarla ma non solo non c’era più lei, la zingara, ma non c’era più niente. Né il Credito Italiano, né la Rinascente. Al posto del bar con la foto di Marlon Brando c’era un altro bar con la foto di un gorilla che mi ha prestato la faccia per invitare la gente a ordinare un Crodino al momento dell’aperitivo. Nessuna traccia della mia zingara. E neanche del ragioniere di Busto Arsizio che aveva preso il mio posto.

Nel dubbio, cominciai a dire che non mi servivano più facce in prestito, che era tempo di dar seguito a quel “….da cosa nasce cosa….” che mi avevano adombrato al mio arrivo nel fantasmagorico mondo del cinema. Ho mandato la solita Raccomandata A.R. al solito ufficio che mi ha risposto chiedendomi di pazientare ancora un po’, e che intanto mi esercitassi con la mia faccia nelle fiction televisive, “ottima palestra per arrivare all’Oscar” hanno detto.

E va bene, pazientiamo, tanto prima o poi il mio turno arriverà, no? Il destino porta sempre a termine i suoi disegni, specie quelli affidati a una zingara, a Via del Corso, davanti alla Rinascente che non c’è più.